Dino Buzzati

Dino Buzzati

Scrittore, giornalista, redattore e inviato del Corriere della sera (sulle cui pagine è stato anche critico d’arte), è autore di una vasta produzione narrativa (Bàrnabo delle montagne, 1933; Il segreto del Bosco Vecchio, 1935; Il deserto dei tartari (il suo capolavoro), 1940; I sette messaggeri,1942; Paura alla Scala, 1949; Il crollo della Baliverna, 1954; Sessanta racconti, 1958, premio Strega; Un amore, 1963; Le notti difficili, 1971, di drammi (Un caso clinico, 1953) e di libri che nascono essenzialmente dall’incontro tra testo e illustrazioni, anch’esse opera dello stesso Buzzati (Poema a fumetti, 1969; I miracoli di Vai Morel, 1971). Allegorie inquietanti, spunti surreali, invenzioni fantascientifiche, dati di cronaca (o di pseudocronaca), che sembrano rimandare a possibili realtà rnetafisiche, coesistono nelle sue pagine, gravide di un’atmosfera magica, di un senso d’angoscia dinanzi alla paradossalità del destino. Buzzati coltiva le proprie idiosincrasie, restituendole in forme narrative e visive, dove l’avvenimento fantastico costituisce una possibilità di fuga dalla realtà piccolo-borghese. Spesso il “favoloso”dei romanzi di Buzzati nasce da motivi autenticamente fiabeschi, derivati dalla cultura dell’autore caratterizzata da un gusto nordico o addirittura “gotico”.

da La Garzantina – Letteratura – 2003

Correva l’anno 1967. Pochi giorni prima dell’inaugurazione e dell’apertura della funivia del Groppera e della pista sciistica che da questa cima scende a precipizio, Dino Buzzati -in quanto appassionato e competente di sci e di sport alpini- fu inviato dal Corriere della Sera a Madesimo per seguire l’avvenimento. Il giorno dopo, come fondo sul maggior quotidiano d’Italia, uscì l’articolo di Buzzati. Era intitolato Il Canalone, un pezzo di alto giornalismo con il quale la pista, un’opera d’arte, veniva consacrata con il nome che ancora oggi porta.
IL CANALONE
Si può presentare una pista di sci come un’opera d’arte senza cadere nella vuota retorica? lo penso di sì. E allora se i confini dell’arte sono ormai tanto elastici, è poi tanto irriverente definire capolavoro la pista dei Groppera sopra Medesimo? Se la sorvolate in elicottero, vi sembrerà soltanto uno dei tanti canaloni che solcano i fianchi di queste montagne, le quali non vantano straordinari splendori. Se invece la percorrete in sci, vi sentirete aprire a una travolgente meraviglia. Gli sciatori che me ne hanno parlato -e alcuni di essi conoscevano bene l’intero repertorio sciistico d’Europa- sono stati concordi: è la più bella pista delle Alpi. Infatti quando sono uscito dalla stazione sommitale della funivia, esattamente a 2.960 metri, e mi sono affacciato alla svasatura che precipita di sotto, la prima volta confesso di essere rimasto perplesso. Dal ballatoio non si può ancora scorgere l’enorme imbuto, ma se ne scorge appena l’inizio. E la pendenza e la livida penombra non lasciano presagire nulla di buono. Si mettono gli sci, si traversa a destra per una trentina di metri in scivolata diagonale, ci si immerge col batticuore nel baratro. La pista non è stata battuta, la neve non sarà assestata, le virate su di un pendio così severo saranno un problema. E se si cade dove ci si fermerà? Ma la neve tiene, benché non battuta, esposta a nord com’è, ha, fino a metà giugno, la perfezione tipica dell’alta montagna. Le concavità dei primo erto cunicolo lusingano i movimenti aiutando le curve con elastico rimbalzo da un versante all’altro. Ben presto la stazione della funivia scompare lassù in alto, ci si trova immersi nel cuore dei canalone. E all’improvviso le rocce, le creste, i contrafforti, le gobbe che da lontano parevano insulse forme, acquistano, visti da presso, una intrigante personalità. Che cos’è un canalone? Perché, rispetto alle piste aperte che sono la grandissima maggioranza, offre singolari voluttà? Il canalone è un corridoio, uno scosceso viale, una lunga prigione in cui si resta chiusi. Da una parte e dall’altra impraticabili quinte di rupi. C’è molto più carica di solitudine. C’è un gioco molto più fantastico di luci e di suoni: e c’è l’incanto della intimità, lo stesso che si assapora in parete, su per i grandi camini e diedri, intimità veramente simile a quella della nostra camera da letto; per cui le lingue di neve, le infossature, i macigni, gli aerei baldacchini assumono un’espressione pressoché umana. Si direbbe che qualcuno ci aspetti, che ci spii tra le rocce. Ogni angolo, cavità, anfratto, sembra invitarci a restare, promettendo misteriose beatitudini. Nei canaloni, non sulle pareti o sulle creste, vivono gli elfi, i gnomi, gli antichi spiriti della montagna. Attraverso il favoloso scenario, la pista si incurva, si allarga, spaziando in vertiginosi anfiteatri, si raccoglie a cucchiaio, concede respiro, poi si restringe di nuovo, si impenna come se dietro quella gobba si spalancasse un impossibile abisso. Ma anche l’erta strettoia fa di tutto per non scoraggiare come le curve sopraelevate dei velodromi felici, anzi trascina agilmente gli sci in armoniosi zig zag che riescono da soli. Quindi si allarga ancora in maestose cavee ciascuna delle quali ha una luce particolare, un’espressione e una atmosfera diversa dalle altre. Altri due canaloni sono giustamente famosi nelle nostre Alpi, tutti e due sopra Cortina: le Tofane e il Cristallo. Quello del Groppera (che brutto, zotico e inelegante nome però), li supera per potenza architettonica. Mille metri secchi di dislivello, tre chilometri e mezzo di percorso. Dopodiché il divino toboga si estingue a ventaglio su di un vasto pianoro. E qui riprende la febbre. Presto allo ski lift che riporterà su alla stazione intermedia della funivia, tornare in cima, rimettere gli sci, buttarsi ancora giù per il favoloso scivolo, scrivere sull’innominabile cateratta bianca irrigidita tra i dirupi, la nostra piccola fatua personale illusione. Fino a quando?

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